Il verde delle foglie dell’alloro e delle palme, il bianco dorato dei pani votivi modellati in forma di cucciddati*, di fiori e di frutti, le arance, caratterizzano gli “Altari”, che il 19 Marzo, fanno da sfondo e cornice alle cosiddette “Cene di San Giuseppe”, con le quali devoti del Santo, il giorno della sua festa, offrono un banchetto (“cena”) di oltre cento pietanze a base di soli prodotti della terra, a tre “Vicchiareddi”, una volta tre poveri bisognosi, che rappresentano la Sacra Famiglia, Gesù, Giuseppe e Maria.
A Calatafimi la “Cena” era preceduta da “lu scontru”, una sorta di breve, rustica, sacra rappresentazione. Davanti la casa del devoto, che offre la “Cena” avviene il suo incontro (“lu scontru”) con due poveri pellegrini, “li Vicchiareddi”. Essi raffigurano Giuseppe e Maria, che angosciati vanno cercando il piccolo Gesù, che si è perso (il riferimento sottinteso ed approssimativo è all’episodio evangelico di Gesù perso e ritrovato fra i dottori nel Tempio). I due genitori vanno bussando alle porte in cerca del Figlio, trovando ostilità o indifferenza, solo il devoto li incoraggia e li aiuta nella ricerca. Dopo il ritrovamento di Gesù, la Sacra Famiglia ricomposta viene ospitata e rifocillata, ed ha così inizio la “Cena”.
I tre “Vicchiareddi” vengono serviti a tavola dallo stesso devoto. Ciascuna delle pietanze deve essere da essi mangiata, o assaggiata; il non farlo sarebbe di cattivo augurio, per cui i “Vicchiareddi” mangiano fino all’estrema sazietà. Alla fine del banchetto a ciascuno dei tre Personaggi viene donato un grosso pane votivo, arabescato di simboli religiosi, fiori e frutti. Negli Altari e nelle Cene di San Giuseppe riemerge la memoria di antichi riti a carattere propiziatorio; infatti la festa del Santo, 19 Marzo, va quasi a coincidere con l’Equinozio di Primavera, 21 Marzo. Era la festa, che segnava l’inizio della stagione della produzione agricola dopo la sterile pausa invernale.